In occasione della Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, ho rispolverato un mio racconto, scritto un paio d’anni fa, che si adatta perfettamente a questa giornata. Ve lo propongo qui di seguito.
“Mi concessi un po’ di tempo per bere un sorso di cappuccino. La tazza scaldava le mani e il sole invernale si posava sul mio viso, con quel tepore che si ripete, nello stesso modo piacevole, solo nelle prime giornate di primavera.
A occhi chiusi mi godevo il cammino del liquido caldo che attraversava la gola e scendeva giù.
Un leggero urto alla mia sedia mi riportò alla coscienza dell’ambiente intorno.
“Mi scusi.”, mormorò la voce gentile della ragazza che aveva spostato la sua sedia, facendola sbattere contro lo schienale della mia.
Riportai lo sguardo sul cursore pulsante, sul monitor del computer portatile che ho di fronte. Mi fermavo spesso in quel bar. Era un posto luminoso, accogliente, dove la gente poteva fermarsi a un tavolo per lavorare.
La ragazza si sedette. Era in compagnia di un’amica.
“Racconta!”, la invitò la ragazza alle mie spalle.
“Cosa ti devo dire, Gaia? Sono sconvolta. Pensavo di aver ritrovato un mio equilibrio, invece i ricordi sono tornati a scuotermi la testa e lo stomaco e, in più, adesso mi sento responsabile per quello che potrà succedere ad altre ragazze.”
Cominciai a battere sui tasti del computer. Le parole delle ragazze potevano diventare il mio percorso di appunti per un’idea, per un soggetto da scrivere.
“Cosa è successo esattamente? Al telefono mi hai detto solo qualche frase smozzicata.”
“Il mio allenatore di allora … è tornato di nuovo in attività.”
“Ma non lo avevano allontanato?”
“Si, dopo lo scandalo che riguardava anche me. Ci avevano trovato nello spogliatoio e lui cercava di togliermi i vestiti di dosso. Io urlai e un’altra allenatrice entrò nella stanza e riuscì a fermarlo. Poi mia madre fece un gran casino e la federazione cercò in tutti i modi di soffocare lo scandalo, mandando via quell’uomo. Io avevo solo quattordici anni, sapevo solo che lui voleva fare qualche cosa che non volevo fare io. Avvertivo anche che quello che voleva fare era una di quelle cose che mia madre mi aveva sempre dipinto come “sporche”, ma ero ancora una bambina. Mi ricordo gli sguardi delle compagne di squadre, così compassionevoli da farmi sentire colpevole. Ricordo anche certi discorsi sussurrati da altre compagne, di poco più grandi di me, che parlavano di rapporti sessuali avuti nello spogliatoio con non so chi. Con il tempo i significati sono diventati più chiari, ma in quel momento non ero abbastanza “adulta” per capire.”
“Ma non potevi andare a giocare per altre società?”, chiese Gaia.
“Se si fosse trattato di società si, ma qui si parlava di Nazionale e le ragazze fanno qualsiasi cosa per arrivare a giocare nella squadra più importante di tutte.”
Ci fu un lungo momento di silenzio, a sottolineare che le ultime parole erano la spiegazione della realtà.
“Come mai è tornato?”, chiese Gaia.
“E’ cambiato il presidente della federazione, che già di per sé amava molto le ragazze giovani. Poi l’incarico di allenatore è stato dato ad uno che amava le ragazze giovanissime. E’ stato lui che, a sua volta, ha di nuovo preso, come aiutante, quello schifo d’uomo che aveva provato a …”
La voce si interruppe, prima di un altro silenzio prolungato
“Cosa vuoi fare, adesso?”, domandò ancora Gaia, con un tono di voce preoccupato.
“Non lo so, Gaia. Ho qualche idea, ma uscire allo scoperto provocherebbe tanta sofferenza a mia madre: ci ha messo tanto tempo a ritrovare la serenità. Sul serio, non saprei come affrontare la situazione. Però adesso sono una donna, non più una ragazzina e devo fare qualcosa, non posso aspettare che si ripeta quello che è successo a me … o anche peggio.”
“Ma come puoi fare?”
“Ho pensato tanto in questi ultimi tempi e credo che sceglierò la soluzione dell’incontro con lui. Lo affronterò, non più con le paure di una bambina. Adesso sono grande, sono una donna, ho raggiunto il massimo sia a livello sportivo, negli anni in cui lui non c’era, sia a livello lavorativo. Non ho più paura di fronteggiare un uomo.”
“Sei sicura di volerlo fare?”
“Sì. Andrò da lui e gli dirò di andarsene. Devono andarsene, lui e l’allenatore amico suo,”
“E se rifiuterà?”
“Cercherò qualcuno che voglia raccontare la mia storia. Magari qualcuno che preservi in mio anonimato. Spero di trovare una persona che mi ascolti.”
Alzai le mani dalla tastiera del computer. Il cursore continuava a pulsare, ma questa volta aveva lasciato dietro di sé la traccia dei segni, un racconto da pubblicare.
Le ragazze si alzarono, senza più pronunciare una parola.
Girai il capo quel tanto che mi servì a incontrare lo sguardo della ragazza che, fino a poco prima, era seduta alle mie spalle. Lei sorrise dolcemente e io ricambiai.
“Posso fare poco per la tua amica, soprattutto non posso cancellare il passato.” pensai, “Ma quel poco lo faccio volentieri. Spero che possa servire.”
Questo racconto fa parte di un articolo in cui ho parlato anche di un fatto portato alla ribalta da una delle più grandi ginnaste di tutti i tempi: Simone Biles. Vi invito a leggere anche quello.
Fonte immagine: Il Faro Online