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Pane capovolto a tavola: cosa dice la tradizione?

Il pane capovolto a tavola genera un richiamo che ci siamo sentiti ripetere mille volte, magari con tono di rimprovero. Ma perché il pane non dev’essere capovolto? Perché si dice che porti sfortuna? La questione nasce da lontano.

La religione

Il pane simboleggia il corpo di Cristo, quindi è considerato alimento sacro. Mettere il pane capovolto ha il senso di una mancanza di rispetto per il Cristo e, anche, per chi andrà a sedersi intorno alla tavola. Alla stregua della croce capovolta, anche per il pane vige l’equiparazione con il demonio, quindi con la sciagura, con la sfortuna. In quante delle nostre case, ancora oggi, si osserva la tradizione di non tagliare i pane con il coltello? E, se proprio si è costretti a usare la lama, prima si bacia il pane. Nelle società contadine di non troppi anni fa, era usanza spezzare il pane con le mani, esattamente come narrato nei Vangeli di Matteo, Marco e Luca: Gesù prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede ai discepoli dicendo: «Prendete e mangiate; questo è il mio corpo».

Così come è usanza non buttare mai il pane, quasi sia il dispregio della fortuna di averne.

La storia

Si narra che in Francia, intorno al 1400, si diffuse un atteggiamento adottato dai fornai dell’epoca. Era il tempo in cui era in vigore la pena di morte. I boia che eseguivano le condanne, come si può ben capire, non erano ben visti dalla popolazione e i fornai, in modo particolare, misero in atto una loro particolare contestazione, rifiutandosi di vendere il pane a quelli che sapevano essere i giustizieri.

Il re, Carlo VII, fu costretto a ordinare ai panettieri di devolvere alcuni pezzi di pane ai boia. Fu obbligato a richiamare all’ordine i fornai ribelli, minacciando anche per loro la pena di morte.

Gli artigiani dovettero obbedire alla volontà del re ma, attraverso una sorta di codice segreto, cominciarono a produrre una pane, come dire… dedicato proprio ai boia. Era un pane fatto con farine di pessima qualità e, quando dovevano consegnarlo ai carnefici, lo facevano porgendolo capovolto. Quello fu chiamato “il pane del boia”.

Carlo VII fu, allora, forzato ad emettere un altro decreto: i boia dovevano portare a termine il loro mandato di giustizia operando incappucciati, in modo da non essere riconosciuti una volta tornati alla loro vita in mezzo agli altri.

La simbologia del pane

Il pane non è solo un alimento, ma copre una rappresentatività che va ben oltre il suo essere cibo. Il pane è la prima soluzione salvifica alla fame. E’ offerta e scambio, simbolismo diviso tra civiltà e religione.

Per l’universo contadino rappresenta il ciclo stagionale, il primo prodotto della lavorazione dei campi. La presenza del pane in tavola è simbolo di benessere e ricchezza, quella che consentiva di sfamare la famiglia.

Ma il pane ha un riferimento alla sessualità e alla fecondità, quella della terra, da cui deriva il grano che si fa farina sotto le mani dell’uomo. Il pane è salute sia per gli uomini che per gli animali.

E’ presente in questa veste di rappresentazione di vita, nei riti della nascita, del matrimonio e, anche, della morte. Dal grano, con la sua ciclicità di vita, il pane acquisisce la proprietà transitiva di sostegno all’esistenza.

La forma del pane

Vi siete mai chiesti perché ci siano tante forme attribuite al pane? Sì, certo, alcune saranno pure casuali, ma altre fanno parte, volutamente, di una simbologia ben precisa, sono veri e propri messaggi. Siamo ormai abituati a non valutare le forme geometriche, quelle floreali, quelle astrali, le incisioni elaborate che fanno parte della tradizione e definita dalle abili mani dei panificatori. Pensate, per esempio, alle fantastiche creazioni rituali ancora ben rappresentate in Sardegna.

Pane capovolto a tavola: cosa dice la tradizione? - Progetto artistico Sasartiglia
(Fonte immagine: Progetto artistico Sasartiglia)

La forma del pane segue un rapporto di simbologia sacra e diventa dono di supplica agli dei e, in seguito, a Dio, usato come offerta nelle feste in loro onore.

Il pane strumento di equilibrio sociale

Per il pane sono scoppiate, nei secoli, vere e proprie guerre e il tema del prezzo del pane e delle materie prime per produrlo è ancora valido, nei tempi più recenti.

Basti pensare a quel che si narra riguardo alla risposta attribuita a Maria Antonietta: “Non hanno il pane? Che mangino le brioche!” … e sappiamo come andò a finire.

Ma in tempi più vicini a noi possiamo ricordare che, nel 2010, una delle ragioni che sostennero le rivolte della Primavera Araba fu proprio l’aumento del prezzo del grano e del pane.

Fino più o meno al 1900 il pane era anche simbolo di classe sociale.

Il pane di pasta bianca era riservato ai ricchi, così si produceva il Pane del Papa, quello dei Cavalieri, quello degli Scudieri. C’era perfino il Pane dei Crociati.

Più si scendeva nella scala sociale e più la pasta del pane diventava scura. Il pane integrale era il primo scalino da scendere, fino ad arrivare alla qualità più bassa, il pane di polenta, di crusca e poi il cosiddetto “pane dei maiali”, quello di farina di ghianda.

E ancora ce ne sarebbero di particolarità attribuite al pane. Mi riservo di affrontare l’argomento in altri prossimi articoli.

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